Viaggio in Birmania: l’inizio
10 Agosto 2013, ore 14 circa.
Siamo congelati da un’aria condizionata che ci ha flagellato a temperature folli per una notte intera, ma quando scendiamo dall’aereo ci sbatte in viso un muro, caldo umidiccio soffocante.
Il primo senso che attiviamo è il tatto. Scostiamo i capelli da collo e fronte e testiamo la temperatura.
Quindi ci addentriamo nella città attraverso le enormi superstrade, i cartelli pubblicitari di dimensioni mastodontiche.
Il traffico è stranamente ordinato per una metropoli asiatica, almeno per come le mostrano i documentari.
L’orizzonte davanti a noi si trasforma
Raggiunte le vie della periferia gli occhi sono pervasi dai colori accesi delle decorazioni, dorate – templi, statue anche sui guardrail e immagini di culto della regina – dalle lanterne rosse di Chinatown, ma soprattutto dai colori accesi di taxi e risciò, giallo/verdi, rosa, multicolore.
Simultaneamente percepiamo i suoni caotici del traffico, rotti solo dai canti sacri che provengono dal megafono di un tempio.
La testa stanca pesa e la nenia è così assordante da rendersi quasi insopportabile.
L’olfatto è messo a dura prova dalla moltitudine di fragranze e olezzi che si mescolano tra loro, sui banchi di strada a lato delle carreggiate, nei ristoranti, nei vicoli abitati – ove il salotto di tutti è messo in mostra..
Anatra laccata, noodles, ravioli, pesce e carne fritta e molto altro…optiamo per i noodles, i primi di una lunga serie.
Ha inizio il Primo giorno Birmano
Quattro ore di sonno scarso prima della trasferta all’aeroporto, destinazione Yangon.
Una buona dose della mattinata si perde nelle lungaggini del cambio soldi, poi le discussioni sugli importi da pagare al nostro tour operator locale, cose noiose da viaggiatori inesperti.
Poi, per pranzo, ci addentriamo nel centro della città, la più grande del Myanmar, di cui è stata capitale dalla colonizzazione inglese fino al 2006.
Ci facciamo guidare da Mya, nostra guida nonché incarnazione di pura gentilezza, lungo i marciapiedi affollati.
Dopo una breve sosta alla casa di Aung San Suu Kyi giungiamo fino ad un affollatissimo – molto rinomato – ristorante, dove le ordinazioni si fanno a gesti che pare Wall Street, più fritta e meno gessata.
Il pomeriggio è dedicato ai primi Buddha e ai primi templi: al tramonto, nel passaggio dalla luce al buio, godiamo della magnificenza della più grande pagoda d’oro del paese, Shwedegon Paya, luce pura.
Iniziamo a inzuppare i piedi nudi nella pioggia e a cospargerci di spiritualità.
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